Dopo un lungo silenzio su questo blog vorrei provare a stabilire un contatto con chi finora ha letto queste pagine. Non credo di essere il solo ad aver assistito con rammarico e delusione agli sviluppi recenti del nostro MoVimento dopo la strepitosa vittoria alle politiche del marzo 2018, i quali hanno visto anche nella nostra regione la vittoria della Lega a Pisa e quella del Pd a Livorno. Siamo in una fase decisamente recessiva e possiamo solo sperare che le prossime regionali in Toscana, grazie alla nostra Irene Galletti, diano un seppur timido segnale di ripresa. Gli eventi politici di questi ultimi due anni sono stati così tanti e così in parte imprevedibili e contraddittori che ancora fatichiamo a mantenere una continuità di prospettiva, a capire quello che siamo diventati e come sapremo svilupparci ulteriormente. Questo almeno per alcuni di noi, quelli che ancora aspettano gli Stati Generali o un’Assemblea plenaria o qualunque cosa riesca a creare un dibattito serio. Per altri, soprattutto per quelli che gestiscono l’attuale situazione nei Comuni o al Governo, sembra invece che questo problema non esista o sia marginale, perché, dicono, molte sono ancora le cose da fare e siamo solo all’inizio, e tornare indietro non si può e tantomeno a “quelli di prima”, perché adesso è invece il momento di “fare i fatti” e le parole o anche “chiacchiere” le lasciamo ad altri…
Non credo sia un’offesa etichettare quest’ultimo atteggiamento come “governismo”, ovvero come quella impostazione che al momento vuole ridurre l’intera esperienza del MoVimento 5 Stelle al qui ed ora del governo, alla redazione di leggi e all’attuazione di programmi, e addirittura alla realizzazione di eventuali “alleanze” perché questo potere di esecuzione sia garantito e rafforzato. Questo era d’altra parte lo scopo del MoVimento: cambiare finalmente in meglio le cose in Italia dopo decenni di false contrapposizioni, raggiri di palazzo e una gestione a dir poco mafiosa delle nostre istituzioni. Abbiamo portato al centro della politica attuale la qualità della vita del cittadino, i suoi diritti inalienabili come salute e istruzione, la lotta alla corruzione e all’illegalità diffusa, e stiamo cercando di praticare davvero una politica di ascolto e di promozione delle istanze dei cittadini, sul piano economico e sociale come su quello ambientale. Tutto questo è assolutamente nuovo per l’Italia e ci fa ancora dire che niente di meglio poteva accadere in Italia di un governo con i 5 stelle. Il problema è però un altro.
Il problema sono appunto “le parole” e la loro carica immaginifica e selvaggia, le cosiddette “parole guerriere” di Beppe o anche più semplicemente le parole di buon senso, le parole che non si traducono immediatamente in azioni, ma semmai in riflessioni e in altre parole. Domandiamoci come è nato il MoVimento, come è nato tutto ciò che abbiamo, grazie al cielo, sotto i nostri occhi in Italia. E’ nato dalle parole di un “comico”, parole il più delle volte gridate, parole sgarbate, parole tenute insieme da sentimenti e intuizioni e molto meno da regole sintattiche, parole che però grazie alla loro carica dirompente riuscivano ad aprire orizzonti di comprensione e di speranza, a coinvolgere la mente e i sentimenti, a spingere all’azione e all’impegno, a dare una svolta alla propria vita e a prendere decisioni scomode, ad avere interesse per la realtà, avere voglia di partecipazione e condivisione, e se necessario anche di scontro con i luoghi comuni e le gerarchie preesistenti. Tutto questo è stato il MoVimento e lo è in certa misura ancora, basta vedere come due combattenti di razza come Ciarambino e Laricchia stanno affrontando la sfida delle regionali.
L’argomento dei ‘governisti’ è appunto che questo coinvolgimento emotivo e conoscitivo in parte è rimasto, ma in parte è una esperienza del passato, come una fase romantica inevitabile agli inizi ma che poi deve essere superata dal sano realismo e pragmatismo. Da qui la frequente immagine del “crescere” del MoVimento, che dall’adolescenza e intemperanza degli inizi dovrebbe adesso raggiungere la sua maturità e la consapevolezza della realtà. E’ vero: una cosa è essere movimento, un’altra è essere forza di governo, purtroppo nemmeno da sola. In questo modo si dividono però due cose a mio giudizio inseparabili: certo, non avrebbe avuto senso un movimento politico che non si ponesse il problema del governo, altrimenti sarebbe stato solo una pur dignitosa ma labile tendenza culturale; ma è altrettanto vero che non ha senso un governo che non sappia mettere in pratica, rendere istituzione, le profonde istanze che questo movimento lo hanno animato. La principale era appunto la partecipazione, la condivisione di nuove idee e l’interesse rinnovato e trasformativo per la realtà. Se queste istanze vengono meno, il tentativo di effettiva democraticizzazione della vita pubblica italiana sarà vano. Non c’è governo tanto buono e armato dei migliori propositi che possa sopperire a questo deficit di partecipazione e condivisione. Per dirne una: il plateale fallimento del MoVimento nel comprendere e gestire la questione dell’uso dei media è a mia avviso una conseguenza di questo governismo occupato a realizzare e molto meno a informare, discutere e coltivare la condivisione. Anche i media sono ‘solo’ parole e immagini.
A mio giudizio il MoVimento 5 stelle ha portato una innovazione tale nel costituirsi e nello svilupparsi dei movimenti politici a livello globale che a un certo punto ha di necessità travalicato i confini italiani ed è stato considerato come modello per le istanze di innovazione politica oltre confine. Il tentativo di approccio ai gilet gialli francesi non è stato, come vuole Travaglio, “una cazzata”, ma invece una buona iniziativa per portare la nostra esperienza a livello europeo. Il tipico chiasso giornalistico sullo stile della Annunziata ha costretto molti di noi ad abbassare il livello di comprensione di questo fenomeno in termini di rapporti diplomatici con la Francia o dell’annoso problema della violenza. I gilet gialli hanno rappresentato un fenomeno di insurrezione strisciante vecchio stile, ma che nasceva dalle stesse istanze attuali del MoVimento 5 stelle e che il mainstream ha generosamente contribuito ad ignorare e rimuovere. Queste istanze non si sono però volatilizzate in Europa, in un paese come la Bulgaria questioni analoghe, diritti civili e qualità della vita, cercano di farsi strada da un po’ di tempo anche se sono puntualmente ignorate dai media europei.
Questo bisogno di apertura di orizzonti, questo bisogno di respirare un’atmosfera culturalmente più vasta e profonda, è alla base della mia, per così dire, indicazione di lettura di Harari, che è insieme un accenno di interpretazione di questo autore – la cui opera è al contempo già un fenomeno culturale e politico, dato il riscontro internazionale che ha trovato. E si tratta di un successo a mio avviso del tutto meritato. In un recentissimo articolo per il Guardian Harari ripropone molti dei suoi motivi di interpretazione della nostra attualità e punta il dito a quella che, a suo giudizio, è l’attuale questione centrale del nostro tempo: il mito della volontà libera e incondizionata dell’individuo. A suo giudizio questo mito è stato il motore del successo del liberalismo di contro a fanatismi e totalitarismi, ma rischia di essere attualmente svuotato dall’interno a causa del progresso scientifico e tecnologico, in particolare dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale e dalla biogenetica, soprattutto quando queste vengono combinate e messe al servizio di governi e imprese private. “L’uomo è un animale hackerabile” è la sua tesi di fondo, ovvero un essere che può essere conosciuto meglio da un algoritmo che da se stesso e per questo diventa estremamente manipolabile. E dal momento che l’individuo tende ad ignorare se stesso e a non conoscere il significato delle proprie azioni, ecco che una tecnologia in grado di superarlo nell’autoconoscenza può diventare una minaccia se finisce nelle mani sbagliate.
Il punto di convergenza tra questa riflessione e le istanze culturali centrali del MoVimento 5 stelle è secondo me la paradossale centralità politica dell’individuo, una centralità a noi ben conosciuta quando parliamo di cittadinanza attiva e responsabile. L’individuo come centro e perno della politica, il cittadino e la sua qualità della vita, non è affatto una utopia umanistica ma semmai una risultanza del più attuale sviluppo scientifico e tecnologico, proprio quando quest’ultimo ce ne segnala la vulnerabilità e la possibilità di manipolazione. Tra le possibili soggettivazioni nel processo politico del passato conoscevamo solo forme estremamente forti come il produttore di valore delle merci, l’operaio di fabbrica, o il tutore della purezza della razza umana, l’ariano. Le più recenti forme di soggettivazione, come anche Harari sottolinea, si rifanno anch’esse a una originaria forma di forza, identificata nella patria, come avviene per il sovranismo, o nella rivelazione divina, come avviene nell’ortodossia religiosa. L’individuo portatore di queste istanze si identifica completamente in esse per attingerne la forza, ma così facendo in realtà si deindividualizza, come del resto accadeva anche all’operaio e all’ariano. Lo sviluppo obiettivo tecnologia ci dice invece, secondo Harari, che l’individuo ordinario e quotidiano è tornato al centro di ogni istanza politica oggi più che mai, e questo ancor di più di quanto il tradizionale liberalismo potesse pensare, dal momento che non sono solo le sue scelte economiche e i suoi interessi in gioco, ma la sua stessa sopravvivenza e la possibilità di sviluppo organico e psichico.
Con Harari possiamo dunque considerare la prospettiva inaugurata dal MoVimento 5 stelle come l’elemento decisivo di un più vasto movimento di riforma politica della vita civile e di riforma dello stesso modo di fare politica. Un cittadino vulnerabile fin nel proprio intimo, nella sua stessa natura corporea e di essere senziente, può con una radicalità mai vista finora essere protagonista di una nuova politica che sappia appunto rispondere a queste istanze così radicali e al contempo estremamente concrete così come sono vissute da ognuno di noi. L’estremo allarme lanciato da Harari è già una nuova consapevolezza del cittadino attivo, che sa che solo la cura per la propria esistenza civile e addirittura organica può essere la base di una nuova politica. Questa radicale vulnerabilità dell’individuo, e non la sciocca presunzione di essere padroni di sé e dei moventi delle proprie azioni, è proprio ciò che deve diventare un nuovo centro di orientamento politico e culturale. A questa radicale possibilità di manipolazione dell’individuo deve saper dare una risposta una nuova politica, in quanto sappia restituire al cittadino le possibilità di conoscenza e di controllo della propria esistenza. Un’esistenza individuale e propria ormai sempre più condivisa e condivisibile, cioè un progetto di sviluppo che può crescere e potenziarsi solo nella condivisione di conoscenze e nella ricerca di una possibile integrità interiore.